Ti è mai capitato di leggere un post ben scritto, corretto, ordinato e di avere comunque
la sensazione che mancasse
qualcosa?
Non un errore evidente, non una frase stonata. Piuttosto una
distanza sottile, difficile da spiegare, ma facile da percepire. Succede
sempre più spesso con i testi generati dall’intelligenza artificiale.
I contenuti scritti con l’AI funzionano: sono chiari, leggibili, spesso impeccabili. Ed
è proprio questa perfezione
uno dei primi segnali. La scrittura umana
raramente è così regolare. Ha pause impreviste,
accelerazioni, piccoli inciampi che rendono il testo vivo. Quando tutto fila senza attrito, il dubbio
può nascere.
Un altro indizio sta nel modo in cui il testo prende
posizione. I testi AI tendono a essere equilibrati, prudenti, sempre misurati.
Raccontano, spiegano, analizzano, ma difficilmente si espongono davvero. È una
scrittura che cerca di andare bene a tutti, evitando fratture e rischi. Utile, ma spesso
impersonale.
Ci sono poi alcune strutture ricorrenti che, una volta notate, diventano difficili da ignorare. Per
esempio:
- elenchi puntati molto ordinati,
simmetrici, in cui ogni punto ha lo stesso peso;
- uso frequente del trattino lungo (—)
per spezzare le frasi, spesso più del necessario;
- emoticon decorative, talvolta a inizio
frase o scelte in modo poco naturale (?, ▪️).
Sono soluzioni corrette, ma ripetute con una tale regolarità da sembrare costruite.
Anche la punteggiatura può
tradire l’origine artificiale del testo. A volte è formalmente giusta, ma suona
“tradotta”: virgole che spezzano il ritmo, pause dove l’italiano non le
richiederebbe, frasi che sembrano pensate in un’altra lingua e poi adattate. Il risultato
è un testo comprensibile, ma poco musicale.
Quando poi l’AI prova a creare
emozione, spesso lo fa dichiarandola. Parla di empatia,
autenticità, valore umano. Ma raramente entra in un’esperienza concreta, in un
dettaglio vissuto. È come se descrivesse l’emozione invece di attraversarla.
Anche l’uso dei puntini di sospensione può rientrare in questo schema: pause
pensate per creare pathos che, però, risultano più recitate che sentite.
Riconoscere un testo scritto dall’intelligenza artificiale, però, non significa
demonizzare lo strumento. L’AI può essere un
ottimo supporto: aiuta a organizzare le idee, a superare il blocco
iniziale, a mettere ordine. La differenza la fa sempre l’intervento umano.
Un testo diventa più naturale quando qualcuno lo rilegge e lo “rovina” un
po’. Quando aggiunge un punto di vista
personale, toglie ciò che è troppo perfetto, spezza la
simmetria, inserisce un esempio reale. Quando il tono non sembra parlare a chiunque, ma a
qualcuno in particolare.
La scrittura non è solo una sequenza di frasi corrette, ma il modo in cui una voce riesce a farsi sentire. Anche quando non
è perfetta.
Facciamo un “piccolo” test
: un paragrafo lo ha scritto Kafka, l’altro no!
“Gregor Samsa, destatosi un mattino dopo un sonno inquieto e turbato, si scoprì
nel suo letto mutato in un insetto enorme e ripugnante.”
“Gregor Samsa, svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel
suo letto, in un enorme insetto immondo”
Qual è quello creato dall’intelligenza artificiale?
